Internet Festival a Pisa: la rivoluzione digitale
Dal 4 al 7 ottobre si è svolto a Pisa l’Internet Festival: 4 giorni di dibattiti, incontri, work shop e mostre per provare a interpretare la rivoluzione digitale che stiamo vivendo. La città di Pisa, dove nel 1969 nasce il primo corso di laurea in informatica e dove nel 1986 parte la prima connessione a internet grazie al CNR, rivendica questo ruolo da protagonista in un evento che occupa tutta la città, dall’Università Normale alla Scuola Superiore di Studi di S. Anna, dai padiglioni allestiti al Ponte di Mezzo alle numerose mostre ospitate presso i musei cittadini.
Vengo a conoscenza del festival grazie ad un post di Marco Pratellesi su vanityfair.it e subito vado al sito dell’evento internetfestival.it. Indubbiamente, un sito che sfrutta tutti i canali della multimedialità, non solo per la connessione ai social network ma anche per i collegamenti in streaming, la cronaca in diretta e la proposta ai visitatori di divenire narratori dell’evento con le loro riprese ed i loro commenti. Tre le aree tematiche: Internet for Citizens, Internet for Makers e Internet for Tellers, ciascuna con un calendario di eventi in diverse location; tutti rigorosamente gratuiti e soprattutto con uno staff di assistenza sollecito e preparato. Si avverte il desiderio di creare un’esperienza memorabile e soprattutto produttiva di frutti (che siano pensieri, iniziative o condivisioni).
Decido di andare domenica 7: pur essendo l’ultimo giorno, il calendario è ricco di appuntamenti di ogni tipo e ne seleziono quattro. Sarò impegnata dalle 10 alle 18, con la possibilità di verificare anche che la torre pendente sia sempre lì!
Ore 8,34 il regionale veloce mi porta a Pisa Centrale e con una breve corsa in bus arrivo in pieno centro, a due passi dal Polo Carmignani, in piazza Cavalieri. Cielo cupo, poche persone per strada: una domenica qualunque nella quale i turisti non hanno ancora colonizzato la città.
Il primo incontro titola Gli e-books e il futuro delle biblioteche: un panel onestamente un po’ fiacco, ma comunque interessante che vuole indagare come le biblioteche, sempre attente ai cambiamenti tecnologici, abbiano iniziato ad approcciare l’e-reading proponendo nuovi servizi ai cittadini come il digital lending (Liber Liber e Media Library on Line), fino al prestito degli e-reader. Non tutti i relatori vedono positivamente la nuova frontiera, sospetto responsabile il gap generazionale. Luciana Cumino, responsabile nuove tecnologie ed e-books alla biblioteca di Cologno Monzese, vede un ottimo futuro ma ancora tutto da scrivere: nel mondo anglosassone l’e-reading è ormai una tecnica consolidata, in Italia inizia ad affermarsi più che altro con i lettori abituali, la normativa in materia non esiste e il digital lending resta una attività molto costosa. A Cologno Monzese gli obiettivi sono ambiziosi e mirano ad ampliare i progetti correlati anche a dislessia e self-publishing.
Roberto Cerri, coordinatore delle biblioteche della provincia di Pisa, liquida velocemente l’argomento affermando che l’e-reading è un fenomeno del tutto marginale e che le risorse umane ed economiche, vista la loro scarsità, dovrebbero essere indirizzate a migliorare e ampliare i servizi esistenti tipici del comparto.
Di altro avviso Davide Gelli, della biblioteca di Prato, che snocciola numeri promettenti: da quando hanno attivato la piattaforma Media Library on Line (febbraio 2012), risultano 1.200 utenti, 7.000 accessi e 11.500 consultazioni (il 75% nella sezione riviste e quotidiani); sicuramente domina la curiosità di sperimentare, soprattutto con gli e-reader.
Il secondo appuntamento è una diretta streaming nei padiglioni allestiti al Ponte di Mezzo: I politici italiani e l’informazione digitale: ci sono o ci fanno? Ne parlano Antonello Caporale, editorialista del Fatto Quotidiano, Claudio Giua, giornalista, direttore dello Sviluppo e dell’Innovazione del Gruppo Espresso e Giovanni Cocconi, vicedirettore di Europa. Caporale sostiene la tesi contro, per politici, giornalisti e opinionisti che fanno un uso smodato e a-sociale del web: “Se hai solo 20 followers non sei nessuno”. Usare internet sì, ma non sostituire la piazza reale con quella virtuale, indice di estrema solitudine e di progressivo allontamento dal mondo condiviso. Cocconi porta avanti la tesi a favore, seppure con le dovute regole e modalità: il web 2.0 consente una platea più ampia ed una maggiore circolazione delle informazioni. Una dialettica interessante anche se devo dire condita di concetti abbastanza scontati.
Arrivano le 13,00 e penso di godermi il centro di Pisa fino alle 15,00. Divertente vedere come la Torre di Pisa, visitata quando avevo 9 anni, possa apparire adesso meno alta e meno imponente. Piazza dei Miracoli comunque bella e piena di turisti. Pranzetto veloce a 7,00 euro vista torre e Duomo.
Poco prima delle 15,00 mi dirigo alla Scuola Superiore di S. Anna dove ci saranno due incontri, molto partecipati devo dire: Internet e la Crisi ed Exit Strategy. Al primo incontro il relatore è Carlo D’Asaro Biondo, Presidente di Google per l’area SEEMEA (Sud e Est Europa, Medio Oriente e Africa). Devo essere onesta, mi hanno colpito la semplicità oratoria e la passione che mette nel suo lavoro, ma credo che per essere un buon leader siano caratteristiche irrinunciabili.
Presentando tutta una serie di numeri che non sto qui a riportare, D’Asaro parte dal principio che la quantità di dati prodotta ogni anno cresce in maniera più che esponenziale e che nel breve termine verrà superato l’attuale numero di 2 miliardi di persone sempre connesse. Il web a breve diverrà la fonte di informazioni più importante e quindi tutto ciò che non sarà sul web sarà destinato a “non esistere” (l’84% degli utenti già oggi ricerca in internet informazioni prima di acquistare). Da questo la conclusione che i Paesi dove il web è più sviluppato hanno una crescita economica più rilevante e costante e soprattutto la “mobile economy” darà un forte sviluppo alla “web economy“. Internet aiuta le piccole e medie imprese a sopravvivere e soprattutto a crescere attingendo alle nicchie di un mercato comunque globale; inoltre aiuta a creare posti di lavoro perché saranno sempre più necessarie nuove professionalità, anche a livello internazionale.
In questo l’Italia è ancora molto indietro e non promuove adeguatamente né la propria ricchezza made in Italy né i propri luoghi artistico-culturali; internet è il primo settore economico in tutto l’Occidente tranne che nel Bel Paese. Circa l’80% della cultura sul web è in lingua angloamericana: se non porremo rimedio digitalizzando tutte le nostre informazioni, luoghi e storie, essi spariranno dalla cultura mondiale. Dobbiamo imparare a usare il web per dare visibilità e futuro al nostro Paese: parallelamente il resto del mondo sta sfruttando fortemente questi nuovi strumenti e rischiamo di essere “dimenticati”. Per questo Google, i cui pilastri sono semplicità, velocità, rilevanza ed esaustività, sta portando avanti una grande opera di digitalizzazione dei contenuti culturali sul web per promuovere luoghi, culture e realtà storiche (lo street view subacqueo va in quella direzione). Lo scopo non è immediatamente di lucro, ma innanzitutto preservare e promuovere la conoscenza, perché loro sono “concetrati sull’utente e tutto il resto segue”. Sembrano tante belle parole, ma D’Asaro ha palesemente parlato del proprio orgoglio di lavorare per una società che mette l’individuo e la conoscenza al centro della propria mission, dove Youtube, Android e Google+ parlano tangibilmente di condivisione e open source.
L’ultimo appuntamento Exit Strategy vede una tavola di relatori illustri, con al centro il Presidente della Regione Enrico Rossi. Onestamente il suo intervento, ultimo in ordine di apparizione, non mi ha entusiasmato per niente riprendendo gli spunti più rilevanti degli altri relatori con quella che ho visto come un pizzico di demagogia. Maurizio Ricci introduce il tema: l’Italia non cresce dagli anni ’90, quando il modello degli anni ’70 (alti volumi a prezzi bassi) è entrato in crisi, causa anche la non competitività delle nostre produzioni. Non è quindi ipotizzabile tornare al pre-crisi del 2008 perché già allora non c’era crescita: l’Italia non è infatti egemone in nessuno dei settori oggi trainanti (anche se esistono buoni esempi, non fanno massa critica). Serve quindi pensare un nuovo modello di sviluppo, con le giuste risorse, che metta a frutto le idee, che comunque ci sono e sono tante. Ognuno dei relatori interviene con valutazioni e possibili strategie.
Il primo a parlare, Michele Vianello, usa toni battaglieri, ma è chiaro nelle sue esternazioni: la rivoluzione IT non è digitalizzare il vecchio, ma creare un approccio culturale nuovo, usare la collaborazione e la condivisione per gestire le informazioni e la conoscenza del futuro; questo consentirà di ridisegnare le città e la vita quotidiana nel rispetto ambientale.
Chiara Spinelli di Eppela, piccola società italiana di crowdfunding, parla della sua esperienza: attività molto affermata all’estero, il finanziamento di progetti tramite le donazioni di utenti web non è ancora molto noto in Italia, ma sicuramente può aiutare piccole iniziative culturali (spettacoli, pubblicazioni, ecc.), soprattutto vista la carenza di fondi pubblici. Nel mondo esistono circa 400 società di crowdfunding, alcune generaliste, altre tematiche: un modo concreto per sviluppare una economia di sharing con l’intento di spendere meglio i propri soldi decidendo autonomamente quali progetti promuovere.
Francesca Panzarin, di Womenomics.it, dedica la propria attività alla promozione del lavoro delle donne, in una società che non ha ancora imparato a riconoscerne il valore aggiunto, sia in termini di produttività che di creazione di ulteriori posti di lavoro.
Andrea di Benedetto, Presidente al CNA dei giovani imprenditori, è convinto che il nostro problema sia legato al disinvestimento in conoscenza. Soltanto dalla condivisione delle informazioni e dal networking possiamo aspettarci una ripresa economica e cita l’ex AD di Google: internet ha rivoluzionato l’informazione, la rete ha abbassato le porte di accesso alla conoscenza e solo dove c’è circolazione di idee ci può essere crescita. L’Italia in questo ha fatto un disastro: internet non è la panacea a tutti i mali, ma incentivando la compartecipazione, può creare le condizioni per una ripresa.
Sicuramente ognuno dei relatori ha portato la propria visione particolare e nessuno può dare la ricetta magica, ma panel come questo (fra l’altro molto partecipato), dimostrano che la condivisione delle idee genera sapere e soprattutto che il nostro Paese, per quanto bislacco e disorganizzato, è ricco di progettualità, di talenti e di coraggio.
Io, dopo questa giornata, non ho solo imparato tante cose che ignoravo, ho anche una visione più ottimista del nostro futuro.