Cuba Libre: Eliminato L’obbligo Di Permesso D’uscita
Come sappiamo, fino all’altro ieri le procedure erano ben più lunghe e laboriose e prevedevano il (difficile) rilascio da parte delle autorità del permesso d’uscita, della presentazione di una carta di invito da parte del Paese ospitante e soprattutto i Cubani non potevano risiedere all’estero per più di 11 mesi, pena la confisca delle loro proprietà (quali poi…!) ed il divieto di tornare in futuro a Cuba essendo considerati espatriati definitivi. Tutto questo sempre argomentato come lotta alla fuga dei cervelli ed alla ingerenza del capitalismo occidentale.
Di sicuro è un grande passo avanti, almeno sulla carta. D’ora in avanti sarà sufficiente il passaporto ed il limite di permanenza è portato a 24 mesi. Certo restano dei ma, infatti, per la solita paura di perdere risorse preziose, verranno applicate restrizioni ad alcune categorie di professionisti come i medici, i militari e professionisti considerati “una parte importante della società”. E’ da vedere poi se queste norme saranno facilmente, diligentemente ed economicamente applicate oppure se, come in passato, il diritto resterà appannaggio dei pochi ricchi o di chi vive di espedienti.
Cuba infatti è un Paese meraviglioso, ricco di storia, di natura, di vita, di passione, ma indebolito da 50 anni di regime che, pur avendo alcuni elementi positivi (che non sono io in grado di analizzare), ha letteralmente spento menti eccellenti e fiaccato gli entusiasmi di tante persone che si sono ridotte a vivere di espedienti, lavori di ripiego e purtroppo anche truffe.
Ho visitato Cuba nel 2007 e in quanto turista ho beneficiato di tutti i comfort che ai Cubani sono preclusi, un po’ per legge ed un po’ (molto!) per carenza di mezzi. Posso dirlo con cognizione, perché in un paio di occasioni, avendomi scambiato per una Cubana (potere dell’abbronzatura!), mi sono stati chiesti i documenti trovandomi in luoghi non consentiti ai nativi.
Cuba è sole, natura, calore umano, tradizioni, fede, musica (quella che senti dentro) e anche storia. L’Avana è una delle città più affascinanti che abbia mai visto, in quel costante contrasto tra una storia coloniale sontuosa ed un presente sfasciato, tra un Malecòn meraviglioso al tramonto ed il quartiere popolare trasandato, tra il quartiere moderno che imita l’occidente ed il centro storico che racconta ai turisti “come eravamo”. Ma è tutto il resto del Paese che trasmette una felicità malinconica, uno sfacciato fatalismo ed un calore umano che si incontra raramente. Ci sono villaggi di 10 casette di fango e paglia, con il tetto in lamiera, di quelle che gli uragani spazzano via ogni volta per poi ricostruirle, dove l’acqua corrente è appannaggio di pochi e l’energia elettrica un lusso: so che in tanti posti è così, ma lì non siamo né in guerra, né tecnicamente in un Paese del Terzo Mondo. Eppure, accanto a tante persone che vivono di espedienti (purtroppo sempre si devono tenere gli occhi aperti), ci sono persone che ancora credono nel contatto umano, disinteressato, dove un buongiorno è solo un saluto ed una indicazione stradale solo un gesto d’aiuto.
Visitando in auto Cienfuegos e Trinidad succede di perdersi: le indicazioni stradali sono spesso un optional ed i paesi indicati sulla carta stradale (niente navigatore!) un insieme indistinto di edifici (o baracche) intorno a strade in terra battuta. Difficile quindi orientarsi verso la strada principale o la superstrada! Ma poi ti capita un ragazzo in bicicletta che capisce che non sai come uscire dal villaggio e ti dice di seguirlo: tu con fare circospetto lo fai, ma stai in guardia perché in Italia nessuno ti darebbe una mano senza chiederla. Appena usciti dal dedalo di viuzze, non ti chiede soldi ma medicine o quaderni e penne: ha una bambina che deve andare a scuola. E poi ti capita un anziano signore, che la storia di Cuba se l’è vissuta tutta, che per darti un’indicazione non ha proprio bisogno di nulla, solo di dirti “benvenuta e buona fortuna”. E poi ancora un ragazzo che fa il benzinaio in una zona indefinita tra Cienfuegos e Trinidad e baratta le indicazioni stradali con un passaggio in auto. Vive a Trinidad, a un’ora di auto dal distributore, peccato che debba farsela sempre o a piedi, o con i mezzi o con l’autostop. E così in cambio di un passaggio guadagnamo il racconto di una vita di un coetaneo, che lavora 3 giorni la settimana perché così lavorano più persone alla pompa di benzina e che guadagna l’equivalente di un paio di nostre giornate. Ma è felice, perché c’è chi sta peggio. E infine una serata ad un bar con musica dal vivo per turisti: solo loro possono sedersi, ma la musica non ha confini ed i Cubani possono godersela ballando in strada. Hanno il ritmo nel sangue veramente, i loro corpi riconoscono le note dall’infanzia e si resta ammirati nel vedere la loro abilità naturale.
Insomma, tanti episodi che narrano di una Cuba che deve potersi esprimere, dare il suo contributo ed essere una realtà economica e sociale forte e indipendente. Santiago de Cuba per i Cubani è uno dei simboli della rivoluzione: imponente, poetica, piena di contrasti, dove si possono ammirare meravigliosi edifici e colpi di fucile conficcati nelle mura della fortezza. Oppure le spiagge pubbliche, dove gli abitanti possono stare e vanno durante le giornate di festa: chiassose, goderecce, piene di musica, cibo e (purtroppo) rum; è come vedere i nostri anni ’60 con gli ombrelloni colorati, i pranzi nel frigo portatile ed i pic-nic in pineta.
Ma, ahimé, non c’è solo questo. C’è anche una Cuba infelice, percossa dal degenerare della situazione, che piega molti giovani a vivere di espedienti, molto peggio della nostra Scampia. C’è L’Avana degli impianti elettrici a vista rosicchiati dai topi, ci sono gli scaffali delle bodegas vuoti dopo il 10 del mese (perché gli stipendi finiscono in fretta), ci sono i cerotti venduti singolarmente, ci sono le fidanzatine giovanissime di turisti attempati che passeggiano per il Malecòn, ci sono i disperati che non potendo entrare nelle zone turistiche chiedono aiuto in mare (non soldi, ma shampoo, medicine, penne, magliette). Anche questa è Cuba. E sono Cuba i ferrei controlli alla dogana per i Cubani che rientrano per verificare che non importino generi utili (abbigliamento, medicine, ecc.), i controlli che subiamo noi stranieri per evitare che portiamo aiuti non autorizzati, le guaguas riservate ai Cubani (mezzi pubblici che in alcuni casi sembrano carri bestiame), l’occhio vigile della polizia contro la prostituzione che è, ahimé, dilagante e degradante ed il furto del portafoglio a Trinidad ad una turista, coltello alla mano.
E’ per tutto questo che ho accolto con piacere le nuove norme circa l’espatrio. Sicuramente una “fuga di cervelli” è da mettere in conto, non fosse altro che per il desiderio di provare, di vivere, di vedere cosa c’è oltre il mare. In fondo sono sentimenti che tutti proviamo, indipendentemente dallo Stato cui apparteniamo e dalla bontà della società che viviamo. Le infinite possibilità del mondo di oggi, ci consentono il lusso di desiderare e sperimentare, salvo poi tornare a casa, se vince nel confronto. Sicuramente Cuba ha tante potenzialità, tanto da dare ed un background storico-sociale molto ricco: il legame con la terra potrà solo che uscirne rafforzato.
Richard Bach ha detto: “Se ami qualcuno lascialo libero. Se torna da te, sarà per sempre tuo, altrimenti non lo è mai stato.”. Credo che questo potrebbe essere vero più che mai per i Cubani e forse per tutti noi.
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VILLAGGIO RURALE FRA HOLGUIN E SANTIAGO DE CUBA |
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BODEGA A L’AVANA |
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PANORAMA DALLA FORTEZZA DI SANTIAGO |
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GUAGUA A L’AVANA |
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LO SPLENDIDO MARE DI CUBA |
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