Romney vince il primo round contro Obama
Il primo round è andato a Romney, esattamente come successe a noi con il primo dibattito Berlusconi – Prodi. Poi la situazione si ribaltò, speriamo bene…
Non credo nel candidato repubblicano, non credo nel milione di posti di lavoro (senza specificare come), non accetto il riarmo (anziché il disarmo). E penso che non ci credano neanche gli elettori della classe media americana che un reddito di 200 mila dollari non sanno neanche come si scrive!
Obama è la speranza di un futuro migliore, più sociale nel senso corretto del termine, più lungimirante, più coeso e più cosciente. E’ la certezza di inserire un passo dopo l’altro regole che incanalino il liberismo americano verso performance più sostenibili per tutti, è la consapevolezza di guidare uno dei Paesi più influenti del mondo, è la capacità di comunicare alle persone in modo semplice (un po’ come Renzi?!?).
Per questo mi dispiace che il primo round sia andato a Romney. Fino al 1° ottobre i sondaggi davano per certa la vittoria di Obama, addirittura con largo scarto in numerosi stati chiave (non solo la Florida). Ma, si sa, il potere della TV è forte in ogni caso e ci avrei scommesso che Romney nel faccia a faccia avrebbe sfoderato il suo lato migliore: vivace, coinvolto e sereno con un Obama timido e sulla difensiva. Certo, quando non si ha che da criticare perché non si è contribuito né nel bene né nel male è facile, Obama invece deve difendere un programma che guarda ben oltre lo spazio temporale di 4 anni (in questa fase di recessione globale!); il suo è un progetto più ambizioso che mira a cambiare il volto degli Stati Uniti e questo non si può fare con un giro di chiave. Martin Luther King disse “I have a dream”… per Barack fu “Yes, we can”.
Romney rischia di riportare gli Stati Uniti a 4 anni fa come se il mondo nel frattempo non fosse cambiato per niente e l’imperialismo americano avesse ancora, non solo ragione di essere, ma la forza per esserlo. In questi anni i Paesi emergenti hanno iniziato a creare il proprio spazio economico e sociale e hanno iniziato a reclamare quella parte di risorse del pianeta che per secoli pochi Paesi ricchi si sono spartiti. In questi anni i Paesi islamici si sono destati e hanno cominciato a far sentire la propria voce: sono tanti e devono essere ascoltati, non possono essere ignorati; l’Europa stessa, per quanto in difficoltà e non coesa, è divenuta un player di maggior peso politico. Il mondo non è più quello di Bush, ma oserei dire neanche più quello di Clinton. E Obama ha il pregio di essersene accorto: per questo va premiato e supportato.
Vediamo i prossimi dibattiti: magari è stato il nervosismo della prima volta. L’unica cosa che temo è che Obama parla a quell’America della classe medio-bassa che tutti i giorni va a lavoro, che spesso lotta con il fine mese e che non ha molto tempo per informarsi e capire; Romney parla all’America dei grandi capitali, delle persone che fanno raccolta fondi, cui non interessa se c’è o meno il riarmo. Confido che il desiderio di riscatto e miglioramento per i figli spinga gli elettori target di Obama a non disertare le elezioni, esattamente come 4 anni fa e che non pretendano di avere un presidente perfetto: Obama ha onestamente detto di non esserlo, ma per definizione nessuno lo è.
Per quanto nessuno dei due candidati si sia lanciato in performance memorabili, restando entrambi moderati senza alcun affondo decisivo, l’America ha assistito ad un dibattito politico; mi domando, a noi da quanto tempo non capita? Certo, dalle ultime elezioni, ma riflettiamoci bene. Quando è stata l’ultima volta che abbiamo assistito ad un dibattito vero, in cui due o più politici hanno civilmente affrontato temi concreti di economia, sviluppo o lavoro? Quando va bene c’è un uno contro tutti (tutti sono giornalisti, economisti, opinionisti, ma mai altri politici). “Quando ci sono troppi galli a cantare non si fa mai giorno”. Ecco, la nostra arena politica è un pollaio, o per esser più gentili, un’aia.